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Gli studenti delle scuole dell’alto Tirreno cosentino hanno celebrato la Settimana delle Legalità con “I passi delle Memoria“, che si è svolto nelle stanze del Santa Caterina Village di Scalea. Nel corso dell’evento, si è parlato dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, delle stragi in cui hanno perso la vita e di tutte le vittime innocenti di mafia.
In particolare, ai ragazzi è stata raccontata la storia di Filippo Ceravolo, giovane calabrese ucciso tredici anni fa durante un agguato ‘ndranghetistico perché fu scambiato per un’altra persona. Oggi i suoi genitori vanno nelle scuole a parlare alle nuove generazioni. «Perché è capitato a mio figlio – ha detto Martino Ceravolo, papà di Filippo –? Forse l’ha voluto Dio per la lotta alla mafia, oggi è un angelo insieme a Falcone e Borsellino».
L’alfabetizzazione emotiva
All’evento, oltre a centinaia di studenti, hanno partecipato forze dell’ordine e rappresentanti delle istituzioni e del mondo dell’associazionismo, tra cui Angelo Serio, responsabile del Punto Luce Save The Children di Scalea, Pippo Peri, responsabile del centro “L’Ulivo di Tortora” e Antonello Grosso La Valle, presidente dell’Unpli Cosenza. La manifestazione, moderata dalla giornalista Nicoletta Toselli, l’ha organizzata Emilia Mezzatesta, referente di Legalità, educazione civica, bullismo e cyberbullismo, dell’Istituto Comprensivo Paolo Borsellino di Santa Maria del Cedro.
«Ho sentito la responsabilità di promuovere i valori della legalità all’interno della nostra scuola – ha dichiarato -, di consolidare quei valori che già abbiamo. Purtroppo viviamo in una società che si prospetta sempre più digitalizzata e c’è bisogno anche di promuovere un po’ di intelligenza emotiva, di alfabetizzazione emotiva».
In ricordo di Filippo
Nel pubblico c’erano anche Anna e Martino, genitori di Filippo Ceravolo, giovane di Soriano Calabro rimasto vittima di un agguato mafioso la sera del 25 ottobre 2012. Filippo era un lavoratore, una persona perbene, lontano anni luce dagli ambienti malavitosi e quella sera si trovò nel bel mezzo di una guerra fra clan per puro caso. Quella sera, Filippo si era recato dalla fidanzata, ma la sua auto ebbe un problema e chiese a un amico di dargli un passaggio fino a casa. Dopo qualche chilometro, l’auto su cui viaggiavano fu bloccata e accerchiata da almeno due sicari che aprirono un inferno di fuoco, sparando una raffica di colpi di fucile caricato a pallettoni.
Filippo morirà poco dopo in ospedale, mentre il conducente del mezzo, il reale obiettivo della mala, rimase ferito ma vivo. Per il suo omicidio, tredici anni dopo non è ancora stata fatta giustizia. «I ragazzi non devono vedere un’altra bara bianca, come è successo a noi, per questo io e mia moglie portiamo in giro la nostra testimonianza – ha detto Martino Ceravolo -. Filippo vive, non è morto. Sono loro, sono gli assassini che sono morti, perché devono stare nascosti. Però, dopo tredici anni, ci auguriamo che la giustizia arrivi».