Dopo le parole di forte delusione espresse dal cardinale Matteo Maria Zuppi sul tema dell’8 per mille, il governo cerca di rasserenare i rapporti con la Conferenza Episcopale Italiana. È stato il vicepremier Antonio Tajani a tentare una mediazione, assicurando che «non è successo nulla di strano»: parte del gettito Irpef destinato allo Stato, ha spiegato, è stato indirizzato alle comunità di recupero per tossicodipendenti, «che in gran parte sono gestiti da rappresentanti della Chiesa, quindi, nella sostanza, non ci sono danni per la Chiesa». Tajani ha inoltre parlato di «dibattito aperto» e ha auspicato un confronto costruttivo.

Al centro della polemica c’è la nuova voce introdotta nel 2023 tra le destinazioni specifiche dell’8 per mille a favore dello Stato: “Prevenzione e recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche”. Una delle sei opzioni a disposizione del contribuente, che può firmare per lo Stato indicando una di queste finalità. La Cei contesta però il fatto che, così facendo, si sottraggono risorse potenzialmente destinate alle confessioni religiose. E i numeri lo confermano: i dati del Dipartimento delle Finanze mostrano un progressivo calo nella percentuale delle firme per la Chiesa cattolica, a vantaggio dello Stato.

Il trend discendente inizia nel 2020, quando il modello per la dichiarazione dei redditi ha previsto per la prima volta cinque voci specifiche per l’8 per mille allo Stato. A quella lista si è aggiunta, nel 2023, l’opzione sulla lotta alle dipendenze, suscitando l’obiezione della Chiesa.

A interpretare il malumore della Cei è monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio e vicepresidente della Conferenza episcopale: «Non è una questione di soldi, ma di rispetto», chiarisce in un’intervista a Repubblica, definendo le modifiche «una scorrettezza istituzionale».