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Un uomo gentile, l’uomo dell’angolo con l’asciugamano gettato su una spalla, le mani sulle corde, gli occhiali scivolati sulla punta del naso. Dietro di lui la folla che si sgola, tifa. Davanti a lui due combattenti, due pugili. I corpi madidi di sudore, i volti lucidati dalla fatica e dal sangue. Il rumore del gong, l’euforia della vittoria, il sapore della gloria che il sacrificio eleva e sublima. Angelo Dundee era tutto questo: lavoro, costruzione, pazienza, grinta. Ruspante e generoso. Sapeva accarezzarti, ascoltarti, ma quando eri a un passo da finire al tappeto gridava: «Vinci!» e dovevi farlo, e riuscivi a farlo.
Angelo Dundee idealmente è tornato a casa. Sugli spalti del palazzetto di Roggiano Gravina, sventola uno striscione: “Bentornato a casa Angelo Dundee”. In prima fila c’è la sua famiglia arrivata dalla Florida: un amico, i nipoti, la nuora. Jim Dundee ha gli occhi lucidi quando viene scoperta la gigantografia che ritrae suo padre Angelo dietro il suo pugile più amato: Muhammad Alì. È uno scatto in bianco e nero, l’istantanea di uno dei tanti momenti straordinari che costellano l’album di famiglia. Da oggi Angelo Dundee, nato a Philadelphia da genitori emigrati da Roggiano verso quell’America che nella coda dell’Ottocento era il grande sogno, è diventato cittadino onorario di un luogo a cui si sentiva legato a doppio filo. A consegnargli il documento che suggella un legame che c’è sempre stato, il sindaco Salvatore De Maio e l’assessore Amelia Perrone che hanno lavorato a lungo a questo evento in un palazzetto ribattezzato PalaDundee.
Jim, cosa prova oggi di fronte a questo caloroso benvenuto a Roggiano?
«È molto bello sapere che mio padre è ora un cittadino onorario. Era così orgoglioso di essere italiano, a Roggiano si sono sposati i miei nonni, qui hanno vissuto prima di partire.
Sarebbe sopraffatto dall’emozione, come lo sono io».
Qual è il ricordo più caro che conserva di suo padre?
«La sua gentilezza. Eravamo migliori amici, lui ed io, ed era cortese sempre con tutti. Mi ha insegnato come stringere una mano, come parlare con le persone. Era un dono che tutti i bambini dovrebbero ricevere. Mio padre è stato un mentore perfetto».
Quanto era importante per lui essere italiano?
«Tantissimo. Papà era italiano fino al midollo. Se qualcuno gli chiedeva di dove fosse, lui rispondeva: “Italiano”. Parlava continuamente di questa cittadina e di quanto fosse orgoglioso che suo padre fosse partito da qui nel 1899».
Ci racconta del legame tra suo padre e Muhammad Ali?
«Si volevano bene, ma si divertivano anche a prendersi in giro. Scherzavano sulle loro origini. Muhammad faceva molti scherzi a mio padre – adorava “terrorizzarlo”, come diceva lui. Ad esempio, scuoteva le persiane da fuori per fargli credere che ci fossero dei fantasmi in casa. Faceva le cose che mio padre faceva da ragazzo. Erano come bambini insieme».
Qual è l’insegnamento più importante che le ha trasmesso suo padre?
«Ha insegnato a me e a tutti i pugili che ha allenato a essere dei gentiluomini: gli ha insegnato a vincere, a perdere, e a comportarsi bene fuori dal ring – che era fondamentale quanto il comportamento dentro al ring. Se non si comportavano così, mio padre li licenziava. Non tollerava certi atteggiamenti. Era un brav’uomo».
Tornerà in futuro qui a Roggiano?
«Sì, sicuramente. Le persone qui sono meravigliose. Oggi abbiamo trascorso una bellissima giornata in città. Ci siamo seduti sulla strada principale a bere un caffè e abbiamo incontrato tante persone. È stata una giornata stupenda».
Data la situazione attuale preferirebbe rimanere qui in Italia o tornare negli Usa?
«In questo momento preferirei stare in Italia. Amo gli Stati Uniti, ma questa visita è stata fantastica.
Il calore che ho trovato qui è impareggiabile».