L’ipercolesterolemia costituisce insieme all’ipertensione arteriosa il maggiore responsabile per lo sviluppo della malattia aterosclerotica e delle sue complicanze, come la cardiopatia ischemica, l’ictus ischemico e l’arteriopatia periferica che sono fra le maggiori cause di morte prematura e invalidità permanente nella popolazione europea.

I grandi studi epidemiologici hanno dimostrato, in modo inconfutabile, l’esistenza di una relazione lineare, forte e continua, tra colesterolemia, mortalità e incidenza delle malattie cardiovascolari, specie della cardiopatia ischemica. Il trattamento delle dislipidemie deve essere quindi considerato parte integrale degli interventi di prevenzione cardiovascolare, che dovrebbero essere indirizzati ai soggetti con rischio più elevato. Per la valutazione del rischio cardiovascolaresi utilizza il sistema SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation) che tiene conto di fattori di rischio quali colesterolo totale, pressione arteriosa sistolica, fumo, sesso, età.

Secondo le ultime nuove linee guida sulle dislipidemie, pubblicate nel 2019 dalla Società europea di Cardiologia, il colesterolo cattivo (colesterolo LDL, più aterogeno) deve essere il più basso possibile, se si vogliono prevenire infarti e ictus. In particolare vengono definiti dei nuovi target, più restrittivi rispetto al passato, a seconda delle diverse categorie di rischio:

pazienti a basso rischio (mortalità cardiovascolare a 10 anni <1%), il colesterolo LDL non dovrebbe superate i 116mg/dL; pazienti con rischio moderato (mortalità cardiovascolare a 10 anni >1% <5%, come ad esempio nei diabetici) il limite scende a 100mg/dL; pazienti ad alto rischio (mortalità cardiovascolare a 10 anni >5% <10%): ridurre di almeno il 50% i valori di LDL rispetto a quelli iniziali e adottare un obiettivo terapeutico di LDL < 70mg/dl; altissimo rischio (mortalità cardiovascolare a 10 anni > 10%), ridurre l’LDL di almeno il 50% rispetto ai livelli basali e adottare un obiettivo terapeutico di LDL < 55mg/dl;
pazienti ad altissimo rischio che facciano un secondo evento vascolare entro 2 anni dal primo (very very high risk), durante terapia con statine al dosaggio maggiore tollerabile: ridurre l’LDL sotto i 40mg/dl.

Un’alimentazione povera di grassi saturi (carne rossa, burro, salumi, formaggi, tuorlo dell’uovo, frattaglie, dolci calorici) e ricca di cereali integrali, frutta, verdura, legumi, pesce magro e carni bianche grigliati o cotti a vapore ha un effetto diretto ipocolesterolemizzante e, pertanto, va incentivata. Secondariamente svolgere esercizio fisico regolarmente incrementa il colesterolo HDL (che ha azione protettiva) e diminuisce i trigliceridi, con conseguente miglioramento dei livelli di colesterolo totale e LDL.

Quando questi accorgimenti sullo stile di vita non bastano, si deve ricorrere ai farmaci ed il trattamento dell’ipercolesterolemia ha come caposaldo l’uso delle statine (inibitori della sintesi del colesterolo all’interno dell’organismo), farmaci che sono in grado di garantire la riduzione del LDL. In genere le statine sono ben tollerate e gli eventuali effetti collaterali, spesso transitori, possono consistere in sintomi come mialgia (1-5% dei casi), disturbi gastrointestinali, eruzioni cutanee, cefalea, aumento asintomatico dei livelli delle transaminasi epatiche (0,5-2%).

Quando le statine da sole non sono efficaci si può associare un’altra molecola che impedisce l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, l’Ezetimibe. Da circa tre anni poi il ventaglio delle opzioni terapeutiche per il trattamento dell’ipercolesterolemia si è arricchito di una nuova classe di farmaci, cioè gli anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9, riservati a quei pazienti che non raggiungono i livelli target di LDL nonostante un precedente trattamento con statine a elevata efficacia ed ezetemibe*.

*Cardiologo