Inizia oggi la settimana che condurrà alla presentazione dei candidati alla carica di segretario della Federazione provinciale del PD di Cosenza. Il congresso si terrà a fine mese, con una tappa intermedia tra due week-end che prevede la consegna delle liste. Al momento si lavora sul nome di Giuseppe Mazzuca (area Guccione), mentre i Democratici per la Calabria hanno lanciato il nome di Elio Bozzo. A stretto giro, inoltre, si riuniranno i circa 40 firmatari del documento con cui venerdì hanno chiesto un paradigma differente e la fine delle logiche correntiste nell’area bruzia.

A seguire da lontano c’è Vittorio Pecoraro, il segretario uscente che ha deciso di non cimentarsi di nuovo nell’esperienza dirigenziale. «Il fatto che si proceda al rinnovo degli organismi provinciali – spiega al nostro network – è un elemento di chiarezza. Ho accolto con favore alcune candidature e il documento promosso da una generazione di dirigenti che conosco, e che in parte ho avuto accanto in questi anni. È un segnale di continuità generazionale che considero positivo».

Pecoraro e il congresso del Pd Cosenza unitario

Positivo fino alla curva tuttavia, perché nel 2022 Pecoraro fu eletto a margine di un congresso annullato (dove Antonio Tursi avrebbe vinto per gli errori riscontrati nelle liste di Maria Locanto, ndr) e di una convergenza sul suo nome di tutte le aree riconducibili ai notabili del partito. Proprio a riguardo, dice la sua. «Oggi nutro alcune preoccupazioni – ammette – Rispetto al 2022, si avverte una minore tensione unitaria. Allora si cercò, con fatica ma anche con coraggio, un punto di sintesi. Oggi si profila una frammentazione in tre o quattro mozioni contrapposte».

«È legittimo e in parte utile – ritiene – che vi siano visioni diverse, ma il rischio è che il congresso venga percepito come un regolamento di conti tra gruppi organizzati, più che come una riflessione condivisa sulla direzione politica da prendere. A mio avviso, esistevano – ed esistono – figure e proposte che potevano rappresentare un punto di convergenza. Spero che, per quanto difficile, si abbia ancora la forza di provare a percorrere quella strada. Serve un appello all’unità e alla lucidità. Serve parlarsi di più. Si provi fino all’ultimo minuto a restare uniti, affrontando i veri nodi politici, non dividendosi sulle persone».

L’idea (utopica) di dire addio al modello verticistico

Vittorio Pecoraro propone un’idea, alla lettura utopistica. «Il Partito Democratico ha bisogno di una riforma profonda del proprio assetto organizzativo – evidenzia ancora -. Il modello attuale è costruito per una società che non esiste più. Le federazioni provinciali, ad esempio, sono caricate di responsabilità gestionali rilevanti, ma prive di leve strategiche reali. Non scelgono i candidati in Parlamento ad esempio. Il segretario provinciale, nella maggior parte dei casi, si ritrova a fare quotidianamente da mediatore tra contrapposizioni fra gruppi, litigi stupidi, questioni minute».

Poi una nota probabilmente biografica: «Il segretario provinciale è quindi una figura sottoposta a pressioni continue ed esasperanti, che finisce per esercitare una leadership difensiva. Gli viene chiesto pure di non candidarsi praticamente a niente, in particolare al consiglio regionale. In pratica – lamenta – è un martirio civile e consapevole. Il risultato è che, invece di generare visione, si riproducono meccanismi di mediocrità adattativa e sopravvivenza. Non meno importante è la riflessione sui circoli. In molti contesti sono stati presìdi importanti e hanno garantito la tenuta del partito nei momenti più difficili. Ma sarebbe poco realistico negare che, troppo spesso, si siano trasformati in strutture funzionali alla gestione del potere locale: centri di controllo del tesseramento, strumenti per orientare le candidature amministrative con logiche non sempre politiche o per pesarsi nelle fasi congressuali».

«Non penso sia un’eresia, oggi, mettere in discussione il binomio federazioni-circoli come unico schema possibile – aggiunge -. Il mondo si organizza ormai in forme diverse: gruppi generazionali, reti tematiche, comunità digitali. Lo abbiamo visto con le mobilitazioni su Gaza, con la campagna referendaria sui temi del lavoro e della cittadinanza, con la battaglia contro l’autonomia differenziata: dinamiche partecipative che hanno trovato forza e voce fuori dai nostri canali tradizionali. Non è una questione di attivismo movimentista. È la realtà. E il partito deve saperla leggere. Il futuro non è più nella struttura verticale e permanente, ma nel modello a progetti: lavoro per obiettivi temporanei e misurabili. Ecco perché è sbagliato, ad esempio, immaginare con il proprio mandato non abbia un termine».

Verso il congresso dei democrat bruzi

Il congresso del Pd provinciale di Cosenza è alle porte e per Pecoraro «non si può più pensare la rappresentanza come mera gestione di un territorio amministrativo». «A Cosenza – rimarca – serve ripartire dalla nostra provincia policentrica. Io sono stato inevitabilmente percepito come espressione del capoluogo. Per andare oltre però non basta oltre la retorica dell’inclusione. Occorre riconoscere che esistono diversi centri nevralgigi anche contrapposti fra di loro per esigenze e interessi. Un partito che voglia definirsi “provinciale” in senso pieno deve essere capace almeno di considerarli tutti».

«C’è chi vuole tornare nel PD dopo esserne uscito? È giusto lavorare per l’unità del campo progressista, ma non bisogna coltivare illusioni. Dentro quello spazio – conclude – esiste una competizione reale. Alcuni attori, pur dichiarandosi alleati o partener, agiscono per renderci marginali. È un dato che chi assumerà la guida del partito in questa fase sperimenterà rapidamente. Per questo serve una postura fiera non subalterna. Unire il campo non può significare un’impostazione rinunciataria sulle candidature principali, né fingere che costruire alleanze significhi annullare sé stessi. Io penso che il PD debba ripartire da sé, dalla propria identità, dalla propria proposta, dalla propria forza».