La crisi del marchio Chiara Ferragni continua a far sentire i suoi effetti anche sul piano societario. A finire nel mirino, questa volta, è la controllata Fenice Retail Srl, società interamente posseduta da Fenice Srl, che l’influencer-imprenditrice guida con una quota oggi detenuta per il 99,8%. Fenice Retail è stata messa in liquidazione alla fine di maggio, contestualmente alla chiusura del punto vendita di via del Babuino a Roma, l’ultimo rimasto dopo lo stop allo store di Milano.

Dai documenti societari consultati da Radiocor emerge una fotografia impietosa: 1,21 milioni di euro di perdite nel biennio 2023-2024, in un contesto di ricavi ormai residuali e di costi fissi non più sostenibili.

Il fallimento del progetto retail

Fenice Retail Srl era stata costituita con l’obiettivo di gestire direttamente la rete di negozi fisici del brand “Chiara Ferragni”, un progetto ambizioso che mirava a consolidare il marchio anche nel canale brick-and-mortar. Dopo una prima fase di entusiasmo, culminata nell’apertura del flagship store a Milano, il modello di business si è dimostrato antieconomico, soprattutto in relazione ai costi di gestione e alle vendite ben al di sotto delle aspettative.

Il primo colpo è arrivato con la chiusura del negozio milanese, avvenuta in sordina, senza comunicati ufficiali. A seguire, lo stop al punto vendita romano. Nel frattempo, la società accumulava perdite operative e svalutazioni di magazzino: nei documenti contabili della controllante Fenice Srl, si legge di oltre 1,6 milioni di euro tra svalutazioni e altri oneri attribuiti proprio alla Retail.

Assemblea tesa: Morgese contesta la gestione

La liquidazione di Fenice Retail non è passata inosservata nemmeno in sede assembleare. Durante l’ultima assemblea di Fenice Srl, tenutasi a marzo, il socio di minoranza Pasquale Morgese (titolare dello 0,2% delle quote dopo l’aumento di capitale) ha sollevato diverse contestazioni sulla trasparenza della gestione e sulla mancata disponibilità del bilancio della controllata.

Il suo legale ha parlato apertamente di «carenza di documenti», sottolineando come fosse stato impossibile per i soci valutare con piena cognizione l’impatto della partecipata. Un altro rappresentante di Morgese ha messo in dubbio l’entità delle svalutazioni, affermando:

«In assenza di una previsione formale di chiusura di Fenice Retail, i soci non hanno elementi sufficienti per stabilire se l’importo sia ragionevole, eccessivo o carente».

La risposta dell’amministratore unico, Claudio Calabi, non si è fatta attendere:

«Si è cercato di trovare la soluzione migliore per traghettare Fenice Retail verso una liquidazione in bonis».

Parole che confermano come la società fosse già stata considerata irrecuperabile sul piano industriale, e che le perdite accumulate rendevano inevitabile lo scioglimento.