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di Luca Arnaù
Garlasco, Lomellina. Là dove i campi di soia e risaie si stendono come un tappeto immobile, la verità è ancora una chimera che sfugge tra i portici e le rogge. È il 13 agosto 2007 e Chiara Poggi, ventisei anni, muore nella villetta di via Pascoli. Un colpo alla nuca, forse due, e poi quel silenzio che per diciotto anni nessuno ha saputo – o voluto – rompere davvero.
Chiara, la ragazza dell’oratorio e dei sorrisi gentili, aveva una vita che pochi conoscevano. Nelle mail scambiate con l’amica Cristina Tosi, trapela un’anima divisa. «Il mio piccione al telefono mi dà sempre soddisfazioni» scrive, «mentre con l’altro… ultimamente non ci vado troppo d’accordo». Un cuore diviso, due relazioni parallele? Nessuno ha mai voluto scavare davvero. Stasi era il piccione o l’altro? E il secondo uomo, in ogni caso, chi era? Troppo scomodo per un paese che preferisce la versione rassicurante dell’angelo del focolare.
Eppure Chiara, come ogni giovane donna che sogna di tagliare il cordone ombelicale con la provincia, cercava la sua via di fuga. Viveva a Milano, tornava a Garlasco per amore, ma aveva un secondo cellulare che usava per mantenere separate le sue vite. Un telefono pieghevole, azzurro, di cui si sono perse le tracce. Nessuno l’ha mai repertato. Nessuno ha mai voluto sapere cosa contenesse.