Sentire Federica Greco & Paolo Presta suonare e cantare fa venire i brividi. Particolarmente bravi. Il loro repertorio è costituito da brani della tradizione calabrese. Fanno parte di ricerche e studi di particolare interesse. Ne parliamo con i due giovani artisti cosentini.

«I nostri brani sono raccolti da studiosi quali Danilo Gatto, Antonello Ricci, riarrangiati non seguendo uno stile ben preciso ma lasciando spazio alla nostra creatività». Il vostro progetto nasce nel 2018 all’interno del Conservatorio di Musica di Cosenza dove studiavate rispettivamente canto jazz e musiche tradizionali. «Siamo stati affascinati da quelle forme così esotiche per noi che, cresciuti nell’era della globalizzazione, abbiamo abbandonato tradizioni locali vicine al nostro essere, perché racchiudono le nostre radici. Abbiamo deciso così di avviare una ricerca bibliografica sui materiali registrati in Calabria nel corso degli ultimi 60 anni e riproporne una nostra versione, con l’obiettivo di manifestare la nostra idea artistica ma nello stesso tempo valorizzare la nostra amata regione».

Nella musica di Federica e Paolo, nelle scelte fatte e nel modo in cui vengono interpretate, c’è tutto l’amore e la passione verso la nostra terra e le sue tradizioni. Questa è veramente una terra ricca di storie e anche dal punto di vista musicale c’è veramente tanto da raccontare e da interpretare. «Assolutamente sì. Se da un lato lo scarso progresso, in termini di infrastrutture e servizi, ci penalizza, dall’altro, isolandoci dal resto del mondo, rallenta quel processo definito da Bourdieu di “violenza simbolica” che vede l’affermarsi di una cultura dominante a discapito di una dominata (forse dovremmo rivedere il concetto di progresso…).

I nostri luoghi racchiudono tesori di inestimabile valore, penso alle tantissime occasioni in cui ancora la tradizione è viva: la pita ed il carnevale di Alessandria del Carretto e i suoi polëcënëllë, le valje di Cervicati e di altri paesi arbëreshë, San Leone a Saracena, il Venerdì Santo di San Benedetto Ullano, la Madonna della Quercia a Conflenti, San Rocco a Palmi etc. solo per citarne alcuni».

C’è poi una grande varietà di strumenti musicali. «Sì, zampogne (zampogna a chiave, zampogna a chiave del Pollino, a paru, “a moderna”, surdulina etc.), pipite, fischiotti, zumbettane, lire, chitarre battenti, tamburelli, tamburi, zuchi, organetti, idiofoni vari, strumenti gioco etc.; il vastissimo repertorio fatto di danze, di filastrocche, di canti delle minoranze linguistiche, canti religiosi, canti d’amore, di sdegno, di lavoro, di argomento fantastico, di questua, canti di partenza. Questi ultimi a ricordarci che il tema dell’emigrazione “forzata” non ci ha mai abbandonato».

Pochi strumenti, una gran bella voce. Basta questo per presentare al pubblico pezzi che raccontano una Calabria che probabilmente oggi è stata messa da parte. «Innanzi tutto ti ringraziamo per gli apprezzamenti. No, non bastano. A fronte della vastità culturale della quale abbiamo parlato precedentemente, noi abbiamo presentato solo un piccolissimo tassello del grande “puzzle Calabria”. Il nostro vuole essere un invito a cercare se stessi nei rapporti umani reali, nel senso di comunità, nei racconti. Ecco, noi inizieremmo da questi, chiedendo ai nostri nonni di raccontarci una storia».

Quella di Federica e Paolo è una reinterpretazione del repertorio tradizionale, ma il loro intento non è filologico. «La nostra è riproposizione. Che è un po’ quello che fa chiunque suonando o cantando un brano che sia tradizionale o di altro genere: aggiunge del suo. Un po’ come fece Marcel Duchamp, Andy Warhol, Botero ed altri con la Monna Lisa. Per quest’ultima bisogna fare molti chilometri, per le tradizioni della nostra terra basta aprire la porta di casa.” Nel 2022 hanno pubblicato “A “sta frinesta”.

«Sì. Prende il nome dal titolo di una cantata “alla crucuddisa” (nello stile di Crucoli) contenuta nell’album. Come è riportato sul booklet del disco: “Il presente lavoro discografico è una finestra aperta sulla tradizione musicale calabrese, una selezione di canti raccolti da vari ricercatori in diverse aree della regione che Federica Greco e Paolo Presta hanno riarrangiato secondo una loro idea musicale. Sebbene infatti i due musicisti abbiano attinto da registrazioni sul campo, hanno apportato modifiche ed aggiunte sostanziali, sia sul piano ritmico ed armonico che su quello melodico.

Varie infatti sono le allusioni al rock, al jazz, al rap e ad altri stili che fanno parte del background di Federica e Paolo, come d’altro canto l’improvvisazione, componente trasversale ai vari generi. La scelta di utilizzare la voce, l’organetto ed il tamburello non è casuale ma ha lo scopo di indagare sulle potenzialità di strumenti che ritroviamo nella tradizione ma che in questo caso assumono una valenza diversa: non più funzionali a pratiche socialmente accettate ma a ad un libero e personale sentire». Per il futuro i due giovani artisti stanno pensando di lavorare per un nuovo disco, questa volta, forse, facendo ricerca sul campo.