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Ad Halloween non poteva non esserci una presentazione da brividi. Il 31 ottobre scorso presso il bar Bronx a Cosenza è stato presentato il libro “L’ultima strega, una storia vera della Calabria del XVIII secolo”, scritto da Emanuela Bianchi, scrittrice, attrice e antropologa. Patrocinato dal Comune di Cosenza, l’evento è stato organizzato dal gruppo di lettura condivisa Booksinthecity, in collaborazione con L’Associazione Glicine di Lamezia Terme.
L’evento inizia con i saluti della delegata alla cultura del Comune di Cosenza, Antonietta Cozza. Passa la parola ad Antonella Falco, critico letterario: «La vicenda di Cecilia Faragò, portata alla corte di re Ferdinando IV di Borbone, fu il caso determinante grazie al quale si decise di abolire il reato di stregoneria nelle sue terre. Cecilia Faragò, infatti, fu l’ultima donna ad essere processata per stregoneria nel Regno di Napoli. Questa vicenda viene raccontata prima in un’opera teatrale e poi diventa un libro».
Segue la scrittrice Emanuela Bianchi: «Nel 2011 ero alla ricerca di una terza figura femminile, dopo aver lavorato su Medea e Cassandra. Ho pensato che a chiudere questo mio lavoro dovesse essere non un mito, ma una persona in carne ed ossa. Tutto si risolve quando mia madre mi regalò un piccolo libro del professore Mario Casaburi, un professore che aveva svolto una ricerca sul processo a Cecilia Farago’.
Mi sono innamorata della storia e ho iniziato ad indagare. Ritenevo assurdo che una donna come lei, grazie alla quale è stato abolito un reato come quello di stregoneria, non fosse citata da nessuna parte, se non dal professore Mauro Minervino. Così, ho condotto una ricerca nel paese dove si è svolta la vicenda, a pochi passi da Catanzaro, Soveria Simeri. Lì ho trovato un muro di silenzio, nessuno voleva parlare con me.
A distanza di 200 anni, Cecilia continuava ad essere vista come una donna diversa, come una donna che non si è voluta piegare alle regole dell’epoca. Sono stata poi convocata dal parroco del paese che mi chiese perché stavo indagando su questa vicenda ed ho scoperto che il parroco in questione era un discendente di uno dei due preti che hanno accusato Cecilia Faragò, don Biamonte.
L’incontro è stato comunque proficuo perché grazie al desiderio del parroco di cambiare la storia, abbiamo ritrovato i documenti che attestano la sua esistenza. Era ormai chiaro che dovevo fare di questa storia un racconto, donando ai giovani di Soveria Simeri questa memoria affinchè la comunità se ne riappropriasse. La figura della protagonista è diventata un marcatore identitario della regione Calabria ed è l’unico marcatore identitario immateriale».
Interviene, infine, Antonio Pagliuso, caporedattore della rivista Glicine e moderatore dell’evento insieme ad Antonella Falco . Cecilia viveva una vita felice, aveva un marito e due figli, una vita apparentemente “normale” per una famiglia di quei tempi. Il primo figlio diventa prete, come d’usanza nelle famiglie benestanti dell’epoca. Di questo figlio primogenito non si saprà più nulla. Muore il marito di Cecilia, lasciando in eredità tutto al figlio, ma a distanza di poco tempo anch’egli muore. I due preti dicono alla donna che il figlio, sul letto di morte, ha firmato un contratto nel quale lui diceva che avrebbe lasciato tutti i suoi beni alla Chiesa.
Lo spiccato intuito di Cecilia le suggerisce che c’è qualcosa che non va: perché prendere anche i suoi beni? Disconosce, dunque, questo contratto, ma i due preti non demordono. Alla morte di un parroco, il cui corpo non presentava nessun segno riconducibile al motivo del decesso, venne dichiarato morto per cause misteriose e soprannaturali, indicando alla mamma del prete che c’era qualcosa di poco chiaro. I due preti riescono a far dire agli altri che Cecilia era una fattucchiera e che sicuramente aveva fatto una magaria al prete.
La madre del prete defunto denuncia Cecilia Faragò. Cecilia sarà arrestata. Inizia il processo e dalla Regia Udienza di Catanzaro, Cecilia viene portata alla Gran Corte della Vicaria di Napoli. Lì Cecilia conosce un avvocato giovanissimo, l’avvocato Giuseppe Raffaelli, divenuto poi famoso per le sue riforme giuridiche. Nel secolo dei Lumi, il brillante avvocato smonta il concetto di magia facendo scagionare Cecilia. Cecilia diventa un simbolo, un’eroina in terra calabra, proprio in quella terra dove, a distanza di tempo, è riuscita ad avere due rivincite: come donna, moglie e madre, nel non essersi piegata al volere altrui e all’ingiustizia; e come donna, strega, nella rivalsa contro gli innumerevoli crimini commessi su donne che venivano colpevolizzate, accusate, torturate e uccise solo per avere capacità diverse dal semplice accontentarsi di fare come gli altri volevano. Questa storia è ormai rievocata ogni anno a Soveria Simeri. (Alessandra Bruno)