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La prima sezione civile del Tribunale di Cosenza ha rigettato l’istanza cautelare avanzata dalla fondazione proprietaria della statua di Giacomo Mancini senior, ex sindaco di Cosenza, data in comodato gratuito al Comune, statuendo la legittimità della decisione dell’ente di dislocare e restituire l’opera anche in assenza di un accordo esplicito tra le parti.
La controversia, che ha coinvolto anche il tema della tutela dell’integrità artistica dell’opera e dei vincoli contrattuali, è stata risolta richiamando i principi del diritto civile in materia di comodato e i limiti del sindacato del giudice ordinario sull’attività discrezionale della pubblica amministrazione.
La statua di Giacomo Mancini senior collocata nel MAB
La statua, realizzata da uno scultore su commissione della fondazione, era stata collocata nel Museo all’Aperto Bilotti (MAB) di Corso Mazzini in base a un contratto stipulato nel 2022, la cui clausola 6 prevedeva che un eventuale spostamento dovesse essere concordato tra le parti. Quando però il Comune ha deliberato lo spostamento e, successivamente, la restituzione dell’opera, la fondazione ha chiesto l’intervento del giudice per impedirne la rimozione, ritenendola illegittima e lesiva dell’interesse collettivo e artistico.
Il Tribunale, presieduto dal giudice Gino Bloise, ha però escluso sia il fumus boni iuris sia il periculum in mora, elementi essenziali per accogliere una misura cautelare. Pur riconoscendo che l’ente agiva iure privatorum nella gestione del contratto, il giudice ha chiarito che l’attività discrezionale connessa all’individuazione dei fini istituzionali e al decoro urbano non è sindacabile dal giudice ordinario, poiché non rientra in alcun obbligo contrattuale preciso.
«Non può condividersi l’affermazione attorea sul diritto della fondazione comodante di imporre sine die l’allocazione della statua in un unico sito», ha scritto il giudice, rilevando che tale diritto implicherebbe una “obbligazione permanente” incompatibile con la natura stessa del contratto di comodato. «Una consistente parte della dottrina ritiene che il comodatario possa in qualsiasi momento liberarsi delle sue obbligazioni restituendo la cosa», ha aggiunto, citando l’art. 1809 del codice civile.
Il Comune può sciogliere il contratto
Il Tribunale ha inoltre precisato che il fatto che l’art. 6 preveda un accordo per lo spostamento non significa che l’opera debba necessariamente restare nella sede originaria. Anche in assenza di accordo, ha stabilito il giudice, il Comune conserva il diritto di restituire la statua, sciogliendosi legittimamente dal contratto.
Un passaggio rilevante della pronuncia riguarda anche la valutazione economica dell’opera. Il contratto prevedeva un valore stimato di 50 mila euro, configurando un cosiddetto comodato stimato, in cui il comodatario si accolla il rischio del fortuito. Tale previsione ha rafforzato la tesi dell’assenza di periculum in mora, poiché eventuali danni sarebbero valutabili in termini patrimoniali. La fondazione, secondo il Tribunale, non ha dimostrato che l’opera sia «irrimediabilmente pregiudicata» dal tempo necessario per un giudizio ordinario, né che le casse comunali siano incapienti.
Inoltre, la fondazione non è risultata legittimata a eccepire un danno derivante dall’eventuale spostamento del basamento in pietra lavica, poiché esso risulta essere di proprietà del Comune, come da art. 7 del contratto.
L’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione
La decisione si colloca nella scia delle più recenti interpretazioni delle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui l’esercizio del potere discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione nell’ambito di attività iure privatorum non può essere sindacato se non espressamente vincolato da obblighi contrattuali precisi. Anche in questo caso, ha sottolineato il giudice, «non è possibile sindacare la motivazione in base alla quale il Comune intende liberarsi dall’obbligazione mediante la restituzione della statua», poiché essa rientra nella sua sfera di discrezionalità.
Il Tribunale ha pertanto rigettato il ricorso cautelare e condannato la fondazione ricorrente al pagamento delle spese legali, liquidate in 2.608 euro. La statua, dunque, potrà essere rimossa e restituita dal Comune, che non ha violato alcun obbligo contrattuale vincolante.