L’articolo pubblicato dalla nostra testata, che ha riportato un acceso confronto tra una professionista esterna e la dirigente scolastica di una scuola di Rende, ha indotto una serie di genitori ad esprimere alcune riflessioni, «nate – scrivono in una lettera in cui esprimono solidarietà alla docente e alla professionista – dal crescente disagio percepito all’interno della comunità scolastica».

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«Negli ultimi tempi – si legge nella missiva – numerosi episodi, più o meno noti, hanno contribuito a generare un clima di forte confusione e incertezza. Diverse famiglie e operatori scolastici parlano di un ambiente sempre più teso, in cui serenità e collaborazione sembrano aver lasciato spazio a dinamiche difficili da comprendere e da gestire. La confusione regna sovrana, i genitori assistono con crescente preoccupazione a una situazione che appare in netto contrasto con i principi educativi che una scuola dovrebbe rappresentare».

«Si fa riferimento, in maniera sempre più ricorrente, a difficoltà di dialogo, malessere diffuso, e a una percezione di gestione poco inclusiva. Termini come “incomprensione”, “chiusura” e “disorganizzazione” emergono con preoccupante frequenza nei commenti di genitori e personale». «Chiediamo trasparenza e ascolto. La scuola dovrebbe essere un luogo accogliente, non motivo di ansia o conflitto», afferma una madre di un alunno della scuola di Rende, che preferisce rimanere anonima.

«Non si tratta solo di malumori o semplici lamentele – aggiungono – sono state presentate segnalazioni formali al Ministero dell’Istruzione, all’Ufficio Scolastico Provinciale e agli altri organi competenti. Famiglie esasperate chiedono interventi urgenti. I nostri figli meritano rispetto, educazione e guida».

«Nel frattempo, le versioni ufficiali continuano ad apparire fragili e frammentarie, senza che emerga una chiara assunzione di responsabilità. Il silenzio, a questo punto, non è più una scelta possibile. Perché – chiudono i genitori della scuola di Rende finita nell’occhio del ciclone nel loro intervento – quando si coinvolgono i media con ricostruzioni percepite come parziali o distorte, restare zitti significa rinunciare al diritto e al dovere di chiedere verità e rispetto».