Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Il rapporto familiare con Francesco Patitucci, ritenuto il vertice della ‘ndrangheta di Cosenza, non è stato sufficiente per provare l’appartenenza del nipote Patrizio Chiappetta al sodalizio mafioso. Lo afferma la sentenza abbreviata del processo Reset, che ha disposto l’assoluzione dell’imputato «perché è insufficiente la prova che egli abbia partecipato all’associazione di cui al capo 1».
Nel capo d’imputazione formulato dalla Dda di Catanzaro, Patrizio Chiappetta veniva descritto come «nipote e stretto collaboratore di Patitucci, al quale funge spesso da autista (così come per Rosanna Garofalo) e prestanome dell’attività commerciale Ego Pubblicità S.r.l., presso la quale Patitucci sarà fittiziamente assunto all’atto della sua scarcerazione». Tuttavia, per il giudice, l’analisi delle prove documentali e testimoniali non consente di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la sua partecipazione al clan.
La parentela come dato neutro
Il gup distrettuale Fabiana Giacchetti ha sottolineato che il legame familiare tra i due, pur «non costituendo elemento ostativo» al riconoscimento di un vincolo associativo – come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità – rappresenta, nel caso specifico, una spiegazione plausibile della frequentazione tra imputato incensurato e zio pregiudicato.
Le dichiarazioni ritenute generiche
Alcuni collaboratori, tra cui Adolfo Foggetti, avevano descritto Chiappetta come prestanome per attività riconducibili a Patitucci, affermando che «possiede svariate attività commerciali di cui non ricordo i nomi ma che sono tutte riconducibili a Francesco Patitucci». Dichiarazioni che, però, secondo il tribunale di Catanzaro, «sono eccessivamente generiche» per fondare una condanna.
Un altro collaboratore, Roberto Calabrese Violetta, aveva sostenuto che «in assenza di Patitucci, a fare le veci erano i suoi nipoti», ma anche in questo caso manca, per il giudice, un supporto concreto.
Ego Pubblicità e assunzione dello zio
Tra gli elementi contestati vi era anche la presunta intestazione fittizia della Ego Pubblicità S.r.l., ma i documenti societari prodotti dalla difesa dimostrano, secondo il giudice, che l’impresa aveva una storia autonoma e «una struttura patrimoniale solida», con ricorsi a vie ordinarie per il recupero dei crediti e nessuna prova di afflussi illeciti.
Anche l’assunzione di Patitucci presso la società del nipote, avvenuta dopo la scarcerazione del boss nel dicembre 2019, non è stata ritenuta indice di condotta illecita: «Per quanto plausibile, la fittizietà dell’assunzione non è stata provata», si legge in motivazione. Il gup Giacchetti ha rilevato che Patitucci era sottoposto a sorveglianza speciale e doveva cercare un impiego.
Informazioni e incontri: semplici frequentazioni
L’accusa aveva poi richiamato alcune conversazioni, come quella in cui Patitucci invitava Avolio a recarsi presso l’azienda del nipote, o quella relativa alla comunicazione da parte di Chiappetta del rinvenimento di una testa di maiale davanti alla sua abitazione. Episodi, secondo il giudice, che non bastano a dimostrare l’inserimento nel sodalizio, né l’effettivo svolgimento di attività agevolative.
Stesso discorso per un’altra vicenda, in cui Patitucci inviava un messaggio minatorio per difendere il nipote: «Se si prende confidenza con mio nipote Patrizio lo scanno», avrebbe detto. Tuttavia, «nessuna prova vi è agli atti che vi sia stata a monte una richiesta di intervento del Chiappetta».
La conclusione del giudice
La sentenza esclude che la vicinanza di Chiappetta allo zio e ai membri del gruppo – documentata da alcuni episodi, come la presenza a un compleanno fuori dal carcere – possa assumere valore dimostrativo di una “messa a disposizione” in favore del clan: «Non è sufficiente la dimostrazione della mera disponibilità di una persona nei confronti di un singolo associato», si legge, ma occorre «un fattivo contributo all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione». Patrizio Chiappetta è difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Alessandro Diddi.