Un’estorsione aggravata, partita da un’escalation di minacce e aggressioni, finita con un pagamento “protetto” da esponenti della criminalità organizzata. È la vicenda ricostruita nel capo 87 della sentenza abbreviata Reset, pronunciata dal giudice Fabiana Giacchetti, e che vede al centro un ambulatorio veterinario di Cosenza.

Secondo le motivazioni, il primo elemento scatenante fu la condotta di un soggetto, che «dava vita a comportamenti minacciosi e aggressivi nei confronti» della persona offesa, «pretendendo somme di denaro e provocando danni all’interno del suo ambulatorio». Un clima di paura che spinse la vittima a cercare aiuto altrove.

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Fu la persona offesa stessa, infatti, a chiedere l’intervento di persone «che potessero fermare» quel soggetto. In questo contesto si inserirono Gianluca Maestri, Ivan Barone, Cosimo Manzo e Roberto Olibano. Furono loro, afferma il giudice, «a farsi carico della gestione della situazione, rappresentando alla vittima l’esigenza di una somma di denaro da versare a titolo di riconoscimento».

Il racconto della persona offesa è preciso: «Mi dissero che per risolvere il problema avrei dovuto versare una somma, inizialmente indicata in 3mila euro, poi ridotta a 1.500, da pagare in due rate». La prima parte del denaro sarebbe stata consegnata direttamente a Maestri, «in una busta davanti all’ambulatorio», come confermato anche dai riscontri investigativi e dai servizi di osservazione.

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Il giudice sottolinea la singolarità del caso, in cui «l’estorsione si origina a partire da un contesto di intimidazione reale, ma sfocia in una richiesta estorsiva mascherata da aiuto». Il punto, per la Corte, è che il pagamento fu preteso e accettato come prezzo per la cessazione delle minacce, in un contesto dominato dalla forza di intimidazione mafiosa.

«L’azione estorsiva —scrive il giudice— fu realizzata con modalità idonee a incutere timore nella vittima, la quale, pur ricorrendo a tali soggetti nella speranza di porre fine alle violenze, si è ritrovata a dover pagare nuovamente, sotto altra forma e con altro contenuto».

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L’aggravante mafiosa è riconosciuta in pieno: «Non è necessario che vi sia una minaccia esplicita di morte o di danneggiamento, è sufficiente che la vittima si senta costretta a pagare per la percezione di una pressione esterna riconducibile alla consorteria criminale». Nel caso specifico, la Corte evidenzia «l’intervento di più soggetti legati all’ambiente mafioso locale, che agiscono come corpo unico e con una funzione tipica di “mediazione” criminale».