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Chi di raggiro ferisce, di raggiro perisce. Deve averci pensato più volte Domenico Falbo, l’uomo che, incurante dei pericoli a cui andava incontro, riuscì nell’impresa di rubare la cassa del clan Forastefano. Nessuno avrebbe immaginato che uno come lui, un giorno, sarebbe rimasto vittima dei truffatori che, nel 2006, gli rifilano una patente di guida falsa. Eppure è successo anche a lui, al “Cireneo”.
Così era conosciuto Falbo fino a un anno prima, ai tempi per lui belli della militanza criminale, quando ebbe l’ardire di sgraffignare i soldi (ben 430mila euro) del “Diavolo”, Tonino Forastefano in persona. In seguito, per sfuggire alle ire del boss che minacciava ritorsioni contro la sua famiglia, s’era deciso a collaborare con la giustizia. E proprio da pentito – e parte offesa nella vicenda – si presentò poi in aula rivendicando la legittimità di quel titolo di guida che sosteneva di aver conseguito a Cosenza, «perché a Cassano c’era la guerra con gli zingari».
Di certo c’è che, all’epoca, la Sibaritide non era il posto più sicuro per indugiare in lezioni di guida. Non per uno come il Cireneo, almeno. Quella di Falbo, infatti, oltre che la storia di un pentimento è anche quella di un dramma familiare. Tutto ha inizio quando decide di appropriarsi della “roba” del capo e se la svigna in una località del Nord Italia. I Forastefano si accorgono dell’ammanco, notano che all’appello manca il Cireneo e fanno uno più uno: è stato lui a rubare quel capitale.
Contattano il fuggitivo nel tentativo di riportarlo a casa e minacciano pesanti ritorsioni nei confronti dei suoi genitori. E’ proprio Tonino “il diavolo” a telefonare a Falbo senza sapere che il telefono è monitorato dai carabinieri. Quella conversazione regala agli investigatori un’intercettazione da brividi.
T: Tonino Forastefano
D: Domenico Falbo
- T – Mi senti?
- D – Ohù! Ti sentu.
- T – Ascolta Domè, forse non ci siamo capiti.
- D – Mamma mia nun sa nianti.
- T – Unni su Dome’?
- D – T’agghiu dittu ca dumani ti mannu, nun sannu loru addu su.
- T – Dome’ ora, Dome’ ora: adesso.
- D – Ora… ora ‘ndu t’agghiu piglià?
- T – Tu cummini minchiati e mi dici a mia ndu agghia piglia ora?
- D – Dumani ti mannu iu.
- T – Nz, nz, nz!
- D – Ti mannu io…
- T – Li voglio ora.
- D – E nu ni tena mamma mia.
- I – Vida ca stannu jennu, diciaci a mammata ca si no i spaccu i corna, acchianu iu, acchianu.
- D – Ma vida ca mamma mia nun sa ninti. Tonì.
- T – Oh, forse nu m’ha capitu. Si acchianu ti fazzu cu nu pali, ti fazzu cumu a Santu Lazzaru.
- D – Dumani sira ti mannu iu.
- T – E va buanu, mo acchianu iu e ni spaccu i corna.
- D – Ppe’ piaciri, dumani sira..
- T – T’adi fa Gesu Cristu u piaciri ca cu mia nun ci fai nenti.
- D – Mamma mia nun sa ninti.
- T – Mo acchianu iu e vidasi cumu i fazzu cantà, a mammata e a patita i fazzu cantà a tutti i dui iu.
- D – Mamma cu patimma chi sa?
- T – E sini, mo’ chi acchianu iu vidi cumu cantanu tutti. Vu scummitti? Supa u beni di figli!
- D – Ma chi t’hannu i di loru, Tonì, nun sannu nenti.
- T – Va buanu, mo’ dopo… dopo ti chiamanu loru ti chiamanu. Si c’a a fannu.
In seguito, due uomini si presentano a casa della mamma di Falbo e le sottraggono il libretto su cui sono depositati i pochi risparmi di una vita, messi insieme con il duro e onesto lavoro. A quel punto, il figlio, adirato per l’accaduto, matura propositi di vendetta. Cerca un ammiccamento con il clan dei nomadi, storico rivale dei cassanesi, ma il suo obiettivo è solo quello di trovare le armi necessarie per farsi giustizia da sé. Una catarsi in cui, probabilmente, lui stesso avrebbe perso la vita.
I Forastefano, però, vengono a sapere anche di questa sua intenzione e, proprio in quei giorni, i carabinieri intercettano un’altra conversazione in cui si fa riferimento alla sua imminente eliminazione. A quel punto, gli investigatori arrestano Falbo e, così facendo, gli salvano la vita. Una volta in carcere, lo mettono al corrente della situazione «e lui – ricorderà in seguito il magistrato Vincenzo Luberto – da persona intelligente, capì subito ciò che bisognava fare». Si buttò con la giustizia e così ebbe inizio la sua nuova vita da pentito di mafia.