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Mariangela Colonnese, 34enne di Longobardi, deceduta lo scorso 20 agosto nel reparto di Ginecologia dell’ospedale “Annunziata” di Cosenza, poteva essere salvata. Lo affermano i medici-legali incaricati dalla procura di Cosenza di eseguire l’esame autoptico sul corpo della giovane cosentina. (LEGGI QUI: 12 INDAGATI)
Cosenza Channel ha avuto modo di leggere le conclusioni dei medici, Cavalcanti, Di Carlo e Vercillo, i quali hanno pure criticato l’Azienda ospedaliera di Cosenza che, secondo quanto emerge dalla perizia di parte, non avrebbe messo i medici nelle migliori condizioni possibili di svolgere appieno il proprio lavoro. Una denuncia, dal punto di vista organizzativo, che è obiettivamente molto grave. Aspetto che sarà valutato dall’ufficio inquirente coordinato dal procuratore capo, Mario Spagnuolo, sempre attento alle questioni sanitarie, come dimostrano le inchieste coordinate contro la “CoopService” di Reggio Emilia e i vertici dell’Asp di Cosenza.
Le conclusioni dei periti nominati dalla procura di Cosenza
I medici legali scrivono che la causa della morte è da ricondurre «a un’occlusione intestinale dell’intestino tenue da sindrome aderenziale con ansa intestinale incarcerata». Ciò avrebbe provocato quindi uno shock cardiogeno ed ipovolemico, vomito, polmonite, insufficienza respiratoria e sepsi, fino all’arresto cardiocircolatorio che ha spento per sempre la vita di Mariangela Colonnese. Secondo i periti nominati dalla procura di Cosenza, la ginecologa della vittima non avrebbe alcuna responsabilità professionale sul decesso della vittima. Stessa cosa dicasi per il medico che ebbe in affidamento e cura Mariangela Colonnese presso il pronto soccorso di Cosenza durante l’accesso del 12 agosto 2020.
«Non emergono profili di responsabilità nella condotta della dottoressa Maria Patrizia Romano» si legge ancora nella perizia «la quale, il 19 agosto 2020, dopo avere valutato la paziente del Pronto soccorso Ginecologico la ricoverò nell’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia. La dottoressa Romano raccolse l’anamnesi, eseguì l’esame obiettivo ginecologico» e inoltre «prescrisse gli esami di laboratorio» specifici, facendo eseguire anche un elettrocardiogramma. Un percorso diagnostico corretto, secondo i medici legali.
Non condivisibile, invece, l’operato del ginecologo che ebbe in affidamento e cura la paziente nel turno pomeridiano 14-20 del 19 agosto. Secondo i periti, infatti, «emergono carenze assistenziali», in quanto «non risulta effettuata la rivalutazione clinica della paziente, non risulta valorizzato il dato relativo alla leucocitosi con 21.900 globuli bianchi neutrofili emerso agli esami di laboratorio con la lieve iposodiemia». E ancora: «Ciononostante non si può affermare con criterio di certezza ed oltre ogni ragionevole dubbio che se la valutazione clinica fosse stata effettuata avrebbe consentito di porre, in questa fase, una diagnosi di addome acuto in paziente con frequenza cardiaca a 80 battuti al minuto, pressione arteriosa, apiretica e che al momento non vomitava e non riferiva dolore addominale».
Gli altri profili sanitari
Giudizio non condivisibile neanche per il personale infermieristico/ostetrico «che ebbe la paziente in affidamento e cura nel turno 20-8 tra il 19 e 20 agosto». Il mattino seguente, Mariangela Colonnese aveva detto all’infermeria «di accusare nausea e vomito insorti sin dalla notte unitamente ad uno stato di malore non meglio definito. Tale trascrizione consente di ritenere che l’aggravamento del quadro clinico ebbe inizio nelle ore notturne senza che il ginecologo sia stato allertato dal personale infermieristico». I medici legali, inoltre, hanno giudicato non condivisibile «la condotta del ginecologo che ebbe la paziente in affidamento e cura nel turno 8-14 del 20 agosto», in quanto «non risulta eseguita la visita della paziente ad inizio turno» e «non risulta eseguito il prelievo per esami di laboratorio».
Per i medici legali «alle ore 12.30 vi era certamente un quadro acuto meritevole di diagnosi e terapia» nella paziente che mostrava ancora nausea e vomito. Dunque, «la condotta risulta pertanto connotata da profili di responsabilità per negligenza, imprudenza ed imperizia con sottovalutazione della gravità del quadro clinico». Valutazione identica anche per il ginecologo che entrò in servizio dalle ore 14 in poi, la cui condotta «non è condivisibile ed è connotata da negligenza, imprudenza ed imperizia per omessa valutazione clinica della paziente ad inizio turno».
Dall’anestesista ai chirurghi
Le condotte del medico anestesista-rianimatore, tuttavia, sono state valutate in modo diverso, in quanto la diagnosi di occlusione intestinale, qualora fosse stata fatta tempestivamente dai ginecologici, «avrebbe indotto anche l’anestesista ad intervenire con urgenza» posizionando «il sondino naso gastrico» al fine di «proteggere le vie aeree prima di qualunque altra manovra». Nessun profilo di responsabilità, infine, per i chirurghi «chiamati ad espletare la consulenza e ad eseguire l’intervento chirurgico d’urgenza».
Infatti, «l’equipe chirurgica alle ore 19.40 era nelle condizioni di potere eseguire l’intervento chirurgico per l’occlusione intestinale ma appare in tutto condivisibile» scrivono i consulenti tecnici della procura di Cosenza «l’indicazione ad attendere che anche una Equipe ginecologica fosse disponibile al fine di eseguire l’intervento ad equipe integrata, data la peculiarità del caso con morte endouterina del feto. L’Equipe ginecologica era impegnata e si rese disponibile alle 21.25 quando l’evento morte era già intervenuto».
Tuttavia, i medici legali ritengono che «dato lo scompenso emodinamico, respiratorio e lo stato settico non si può affermare con criterio di certezza oltre ogni ragionevole dubio e con criterio di elevata probabilità che un intervento eseguito d’urgenza dalle ore 16 e comunque dopo le 19.40 e prima delle 20.40 avrebbe evitato» la fine di Mariangela Colonnese, deceduta alle 21.05 del 20 agosto 2020.
Il ruolo dell’Azienda ospedaliera di Cosenza
La morte della 34enne di Longobardi ha spinto i medici legali ad affrontare anche le questioni organizzativi sulla base delle informazioni raccolte dai chirurghi dell’unità operativa complessa dell’ospedale “Annunziata” di Cosenza. «Preso atto – si legge nella perizia – che i chirurghi erano impegnati in attività operatoria e che i ginecologi reperibili erano anch’essi impegnati in attività operatoria, appare meritevole di approfondimento il dato che sotto il profilo organizzativo, in un’Azienda ospedaliera Hub, con più divisioni chirurgiche non sia previsto un percorso organizzativo che consenta di fronteggiare una tale evenienza mediante impiego di personale di supporto. Non risulta peraltro che i Rianimatori abbiano insistito con più “energia” sulla necessità di reperire altro personale chirurgico e ginecologico».
Ora toccherà alla procura di Cosenza formulare i rispettivi capi d’imputazione contro i medici indagati. La famiglia Colonnese, che in questo procedimento è rappresentata dagli avvocati Fiorella Bozzarello e Filippo Cinnante, chiede verità e giustizia.