«Ti battezzo con ferro e catene…camicie di forza…». Sono parole che segnano l’inizio di una liturgia oscura: il battesimo di ’ndrangheta. Roberto Presta ne ricorda alcuni passi a memoria, e il 27 aprile del 2021 li declama ai magistrati della Dda che raccolgono le sue confessioni. Del resto, quello che rievoca è uno dei giorni più importanti della sua epopea criminale: la promozione a camorrista.

«Se prima ti conoscevo come uomo d’onore, come battezzavano i nostri tre vecchi antenati, da oggi in avanti ti conosco come un camorrista». Nei suoi ricordi, a celebrare questo rito poco rassicurante è il boss Francesco Patitucci, nel 2012 all’interno del carcere di Cosenza, nella saletta per la socialità dei detenuti consacrata per l’occasione a Osso, Matrosso e Carcagnosso. «Patitucci recitava la formula – spiega Presta – e gli altri presenti confermavano e rispondevano alle domande: “Siete conformi?”. “A che?”. “A formare questo corpo di società”. “Conformissimi”». Alla sua iniziazione sostiene che, oltre a Patitucci, abbiano preso parte fra gli altri suo fratello Antonio Presta, Mario Gatto e Renato Piromallo, ognuno con un ruolo preciso scandito dal cerimoniale.

Gatto, infatti, è il puntaiolo, colui il quale con una lametta incide una croce sul pollice destro del battezzato. Ne graffierà uno «equivalente e contrario» nel caso in cui, un brutto giorno, il neocamorrista dimostri di non essere degno di quella dote di ‘ndrangheta. Il fratello Antonio, invece, è l’uomo di giornata, un affiliato di spessore che in via del tutto autonoma può dispensare promozioni all’interno del gruppo. «E alla fine Piromallo ha bruciato una figurina di San Michele Arcangelo».

Ai magistrati Presta ha raccontato anche un altro episodio curioso, verificatosi sempre in carcere ma in tempi più recenti. A febbraio del 2020, infatti, lui e altri membri del suo gruppo sono arrestati con l’accusa di narcotraffico, e un mese dopo riceve in cella una cartolina proveniente da un altro penitenziario. A scrivergliela è un detenuto cosentino di sua conoscenza, ma più dei saluti e dei convenevoli riportati nel retro, ad attrarre la sua attenzione è il frontespizio su cui è stampato un aforisma: «Un vero amico è uno scrigno chiuso a chiave, non sai dire cosa è nascosto all’interno ma daresti la vita per difenderlo».

Il messaggio gli appare subito chiaro: «Un invito a non rendere dichiarazioni accusatorie rispetto all’organizzazione di cui facevamo parte sia io che lui. Ragionando con la mentalità di prima avrei risposto scrivendo “Fraterno amico, di quello che sono a conoscenza ne darò la mia vita”, invece poi ho deciso di collaborare con la giustizia».