Il tempo impiegato dagli infermieri per indossare e togliere la divisa può essere retribuito solo se si dimostra che tali operazioni si svolgono prima della timbratura di entrata o dopo quella di uscita. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso di una dipendente dell’Asp di Cosenza che chiedeva il pagamento di una somma pari a 9.528 euro a titolo di “indennità di vestizione” per il periodo intercorso tra giugno 2009 e settembre 2019. Lo stesso orientamento è valso per un altro infermiere.

Il caso

L’infermiera aveva sostenuto di aver sempre svolto le operazioni di vestizione e svestizione fuori dall’orario di lavoro e, dunque, di aver diritto alla relativa retribuzione aggiuntiva. Il Tribunale di Castrovillari le aveva in parte dato ragione, liquidando un importo ridotto pari a 4.767 euro a causa della prescrizione quinquennale. Ma la Corte d’Appello di Catanzaro, accogliendo il ricorso dell’Asp di Cosenza, aveva poi ribaltato la decisione di primo grado, ritenendo non dimostrata la tesi della dipendente.

I motivi del rigetto

La Cassazione ha confermato la sentenza di appello e ha ribadito un principio consolidato, ovvero che il tempo di vestizione e svestizione rientra nell’orario di lavoro retribuito solo se è provato che tali operazioni avvengano prima della timbratura di ingresso e dopo quella di uscita.

Nella decisione, i giudici ricordano come l’art. 27 del CCNL Sanità 2016–2018 riconosca fino a 15 minuti complessivi per vestizione, svestizione e passaggio di consegne, «purché risultanti dalle timbrature effettuate».

La Corte sottolinea che l’assenza di una regolamentazione aziendale non può giustificare il pagamento automatico di un’indennità. Secondo gli ermellini, infatti, non è sufficiente allegare di aver svolto la vestizione fuori orario. Per la Suprema Corte, pertanto, è onere del lavoratore dimostrare che il cambio d’abito avvenga effettivamente al di fuori del turno, e, nel caso in esame, non è stato né documentato né chiesto in modo specifico ai testimoni.

L’ordinanza ha messo in evidenza anche che non vi era alcun obbligo aziendale che imponesse il cambio d’abito in un momento anteriore all’inizio del turno. Sempre per la Cassazione, la prova testimoniale non era stata articolata in modo tale da dimostrare tale circostanza e le timbrature ufficiali, base della retribuzione, non sono state smentite da alcuna evidenza concreta.

I precedenti giurisprudenziali

La Corte di Cassazione ha richiamato una consolidata giurisprudenza sul caso: la sentenza n. 18612/2024, la sentenza n. 7397/2015, e la sentenza delle Sezioni Unite n. 11828/2013, secondo cui il diritto alla retribuzione per la vestizione sussiste solo se l’attività si svolge in locali aziendali prefissati, se è imposta dall’organizzazione aziendale senza discrezionalità del lavoratore e infine se è dimostrata con prove specifiche che avviene fuori dall’orario di lavoro. In assenza di tali condizioni, il tempo di vestizione è da considerarsi già compreso nell’orario retribuito, se coincidente con le timbrature.