Già nel 2016, l’editoriale del British Medical Journalriassumendo i dati e le evidenze scientifiche, invitava i medici e le istituzioni ad impegnarsi verso nuove politiche di controllo in tema di uso delle sostanze stupefacenti. In particolare, Ruth Dreifuss – commissaria della Global Commission on Drug Policy – affermava addirittura come fosse arrivato il momento di riconoscere che una società ideale senza droghe sia solo una “fantasia” e che fosse assolutamente indispensabile introdurre nuove strategie ispirate al rispetto verso gli esseri umani, piuttosto che alla repressione, come unico modo per limitare il fenomeno. 

Non è un mistero, infatti, che un adulto su venti faccia uso regolare di sostanze stupefacentie che le politiche proibizioniste si siano rivelate storicamente inutili. Non solo, infatti, esse non hanno ridotto i traffici ritenuti illeciti, ma il proibizionismo non è riuscito ad abbassare in nessun caso il numero di persone che a quei mercati illegali ha continuato a rivolgersi.

Inasprire le pene non è la scelta giusta

Mai nessun boss è stato intimidito dai sequestri di alcool degli investigatori americani negli anni venti del secolo scorso e mai nessun gruppo criminale nostrano, dedito al traffico di stupefacenti, ha pensato di ridurre nel tempo i propri affari per paura di un inasprimento delle pene. Anzi, la criminalità organizzata ha generato e continua a generare lauti profitti proprio dal commercio della sostanza stupefacente, che si adegua ai mercati ed elude via via le norme vigenti in tema di controlli.

Sembra curioso, dunque, che per combattere l’uso delle droghe, il Ministro dell’Interno Lamorgese, proponga oggi, in accordo con il Ministro Bonafede, di intervenire sulle fattispecie penali che riguardano il traffico di sostanze stupefacenti di lieve entità, inasprendo le pene con l’aumento dei minimi ed i massimi edittali e quindi rendendo possibile l’applicazione delle misure cautelari anche in casi di detenzione di modiche quantità. Senza considerare le perplessità generate nei giuristi circa l’ipotesi paventata di eliminare il trattamento favorevole in caso di reati commessi da persone tossicodipendenti.

Le norme che riguardano il traffico di droga

La norma che si intende superare è, infatti, quella di cui ai commi 5 e 5 bis dell’articolo 73 del testo unico sulle droghe del 1990 e tale intervento parrebbe motivato dal fatto che le forze di polizia sarebbero frustrate dall’inutilità di arrestare piccoli spacciatori, che però poi non possono essere trattenuti in carcere, né in attesa del giudizio, né successivamente. Questo perché la norma in esame prevede, per i reati di spaccio di lieve entità, la possibilità di accedere alla sospensione condizionale della pena (reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329) ed al lavoro di pubblica utilità invece di scontare la pena detentiva.

Visione del diritto penale populista e punitivo

È chiaro, dunque, che se la proposta dei ministri divenisse realtà, essa rappresenterebbe soltanto un’ulteriore conferma circa una visione del diritto penale populista e punitivo, che punta esclusivamente a criminalizzare i consumatori di sostanze per i quali il piccolo spaccio è spesso una conseguenza della tossicodipendenza.

L’effetto reale che ne deriverebbe sarebbe esclusivamente quello di peggiorare la situazione già devastante vissuta all’interno delle carceri a causa del sovraffollamento, senza nessun effetto migliorativo circa la circolazione di sostanze stupefacenti, che i grandi trafficanti continuerebbero a gestire indisturbati producendo profitti e guardando il fallimento di chi non ha ancora capito che proibire non serve a nulla.