Buona fine e buon principio. Forse il saluto più comune per la notte di San Silvestro. O per i giorni precedenti, se non c’è in programma di rivedersi. Purtroppo per il Cosenza Calcio e i suoi tifosi, la buona fine non è arrivata. Anzi, con la sconfitta contro il Sassuolo è arrivato anche l’ultimo posto in classifica alla vigilia del 2025. La qual cosa certifica, per l’ennesima volta, un flop. Non sportivo, sia chiaro, ma societario. Un flop che ha la forma del meno quattro con cui è iniziata questa stagione. Senza la penalizzazione, i ragazzi di Massimiliano Alvini sarebbero in piena lotta salvezza e non ancorati in fondo alla graduatoria. E invece la squadra, costruita da Gennaro Delvecchio in un mercato (come sempre) con poche risorse, si trova proprio lì dov’è stata già tante, troppe volte negli anni passati nonostante un ruolino di marcia invidiabile.

Cosenza Calcio, un brand da salvare o tifosi da rispettare?

Negli ultimi giorni sta facendo parecchio parlare di sé una dichiarazione di Scalise, amministratrice unica della società. «Il brand del Cosenza Calcio è troppo importante, va salvaguardato e ci vuole l’impegno di tutti». Ma chi sono quei tutti? Perché a salvaguardare il “brand”, ammesso che esista un “brand” della squadra silana, sicuramente non devono essere gli uomini di Massimiliano Alvini e Gennaro Delvecchio, che in campo stanno dando l’anima e anche oltre per portare questa squadra in porti tranquilli. E ci sarebbero anche riusciti, se non fosse per il meno quattro che pesa come un macigno e che non è responsabilità loro. Oppure dovrebbero essere i tifosi quei “tutti”? Ma cosa si può chiedere di più a una tifoseria che, il 29 dicembre, parte da Cosenza per andare a Reggio Emilia con una squadra ultima in classifica? Che, nonostante il caos biglietti prima del derby, incita i suoi giocatori per novanta minuti? Nulla, per l’appunto. E allora resta un solo componente.

In via degli Stadi c’è bisogno di un cambio di passo

Se la squadra non è, il ds non è, l’allenatore non è e i tifosi non sono, allora resta solo un indiziato. Ed è chi risiede sulla poltrona più alta. Perché il calcio, soprattutto a queste latitudini, non è e non sarà mai un brand. Innamorarsi del Cosenza Calcio non è innamorarsi del brand, ma di due colori e della propria appartenenza. Il resto, francamente, conta davvero poco. Esultare al 106′ per un gol di Ciervo nella partita più importante dell’anno, oppure per un gol di Meroni a Brescia all’ultimo respiro, o ancora per l’autogol di Frascatore. Ma anche disperarsi per i gol di Moro e Lipani, per il palo di Lombardo contro l’Udinese, per la sconfitta in un derby. Del brand, sinceramente, al tifoso interessa poco. E forse anche della categoria: non è un caso che la squadra ultima in classifica non sia mai stata fischiata quest’anno. A differenza della proprietà, contestata da inizio agosto. Se la buona fine non è arrivata, dunque, che sia almeno un buon principio: sperando di salvare la squadra, i colori e la città. Ché il brand lascia il tempo che trova.