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di Piero Minutolo*
“… Ho combattuto sempre per l’idea, mai per interessi personali, pagando di persona, come durante il fascismo del quale sono stato fiero oppositore. Non sopportando qualsiasi tipo di dittatura, non posso sopportare neppure una dittatura casalinga. Il partito deve essere libero, i militanti devono essere volontari e non mercenari”.
Sono le parole pronunciate nel 1956 da Luigi Nicoletti, durante il suo appassionato intervento al congresso della Democrazia Cristiana cosentina. Parole durissime che denunciavano spinosità ancora presenti e persino in forme più accentuate, nelle attuali formazioni politiche. Eppure da allora e fino all’inizio degli anni ‘90, i partiti garantivano ai propri aderenti e alle minoranze interne, sia pure tra limiti e contraddizioni, spazi di partecipazione, libertà di critica, possibilità di accesso alle candidature e persino di rappresentanza nel governo degli Enti.
Adesso il pensiero politico differente è considerato antipartito e chi se ne fa portatore viene emarginato o addirittura espulso. I segretari dei partiti, quasi tutti inamovibili per lunghissimo tempo, decidono in solitudine, salvo rare eccezioni, su indirizzo politico, scelte di governo, accordi, nomine, candidature, ecc…
Siamo passati insomma da “L’etat c’est moi” di Luigi XIV a “Il partito sono io”. Gli aderenti sono quasi sempre estromessi dai luoghi della comune riflessione e delle decisioni che contano e sono paragonabili, tutto sommato, agli spettatori di una rappresentazione teatrale: possono soltanto applaudire oppure, se lo spettacolo non piace, andarsene. Tertium non datur. I pochi giovani che partecipano attivamente alla vita dei partiti vengono quasi sempre strumentalizzati per abbellire l’immagine e la credibilità dei gruppi dominanti.
Le correnti di pensiero sono state sotterrate e la comunicazione verticale ha sostituito la partecipazione. Secondo il noto costituzionalista Michele Ainis da diversi anni in Italia si è affermata in quasi tutte le formazioni politiche la cosiddetta “capocrazia”. Per ricondurre i partiti alla loro funzione primaria di raccordo e mediazione tra società e istituzioni, democratizzarne i processi decisionali favorendo la mobilità ed il ricambio nelle cariche di vertice, si dovrebbero scrivere negli statuti e fatte effettivamente osservare, norme che sanciscano l’autonomia sostanziale delle strutture territoriali sulle questioni regionali e locali, l’assoluta incompatibilità dei ruoli apicali di partito con le corrispondenti funzioni istituzionali e il diritto di rappresentanza nei governi locali, regionali e nazionali alle minoranze interne.
Il potere, secondo Montesquieu, deve essere limitato e controllato perché è una brutta bestia: la tentazione in chi lo detiene di farne un uso personale o di parte è molto forte. Per passare da una democrazia formale ad una democrazia partecipata ed inclusiva non basta modificare il modus operandi nei partiti e nei movimenti ma occorre riformare la legge elettorale per evitare che le candidature continuino ad essere decise dall’alto e da pochi.
La legislazione vigente riconosce agli elettori solo la facoltà di votare per un partito ma nega di fatto il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. Una vera e propria menomazione della sovranità popolare. Si consente persino la facoltà di candidare la stessa persona nel collegio uninominale e nel listino. Un premio da elargire ai fedelissimi. Senza preferenze e senza partecipazione dal basso il sistema democratico è zoppo e declinante.
Urge indebolire la “capocrazia” per favorire e fortificare l’affermazione di una democrazia plurale ed inclusiva. E’ auspicabile, pertanto, che le sensibilità culturali, sociali, civiche e gli eletti nei Comuni e nelle Regioni, facciano sentire la propria voce per ottenere un sistema elettorale che sancisca il divieto delle doppie candidature, reintroduca le preferenze ovvero disciplini primarie obbligatorie per la scelta dei candidati nei casi di elezione dei parlamentari per collegi uninominali.
Solo così si potrà ridare ossigeno e vitalità alla democrazia rappresentativa, rendere protagonisti i cittadini conferendo voce e potere alla partecipazione dei più e tentare di ridimensionare l’ormai maggioritario partito del non voto che ha trionfato anche nelle recenti elezioni regionali sarde.
* già sindaco di Cosenza e presidente di “Io partecipiamo”